di Andrea Costa per greenreport.it
L’idea per evitare una riduzione delle rese e l’aumento dei costi è semplice: studiare delle tecniche che riducano lo sviluppo delle piante indesiderate
È possibile coltivare senza pesticidi? Questo è il titolo di un nuovo seminario “Seminiamo Saperi”, recentemente organizzato dallo Sportello di agroecologia di Calci (Pisa): al workshop sono intervenuti Paolo Bàrberi, professore della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, e Francesco Elter, titolare della omonima azienda agricola alla Gabella (località Val di Vico).
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Il problema è dibattuto da tempo, spesso con scetticismo, da parte di aziende chimiche, agricoltori e mondo accademico.
Nell’occasione è stato sottolineato come il problema non si possa affrontare con una semplice sostituzione dei pesticidi con altri prodotti, meno dannosi, ma richieda un ripensamento profondo del modo di coltivare, che li renda meno necessari.
Bàrberi ha inserito la questione nell’ottica del Green deal dell’Unione europea, che si è posto una serie di traguardi per il 2030, tra cui la riduzione del 50% dell’uso di pesticidi, soprattutto di quelli a maggior rischio ambientale e per la salute umana.
Purtroppo, le proiezioni della tendenza attuale italiana rimangono al di sotto degli obbiettivi. Non solo: la tendenza mondiale, secondo i dati Fao, negli ultimi 30 anni ha visto un aumento di oltre il 60% delle quantità medie per ettaro, che vede come principali utilizzatori assoluti paesi come la Cina e gli Usa (ma, per i dati relativi alla superficie, i maggiori consumatori sono paesi “insospettati”, come Mauritius, Seychelles, isole dei Caraibi).
Una critica frequente, soprattutto da parte delle industrie, è che una diminuzione dei fitofarmaci richieda obbligatoriamente un aumento del lavoro manuale, secondo una logica che non vede altra alternativa che un ritorno al passato, con riduzione delle rese e aumento dei costi.
Come accennato in apertura, però, l’alternativa – la terza via – è invece data da un nuovo approccio all’attività agricola, quello agroecologico, che richiede un rapporto stretto tra ricerca, tecnologia e operatori sul campo.
In questa filosofia si inserisce la ricerca di Bàrberi, che si è occupato di una categoria di prodotti, gli erbicidi, il cui utilizzo è aumentato sorprendentemente. L’idea è semplice: studiare delle tecniche che riducano lo sviluppo delle piante indesiderate.
È stata studiata in particolare una successione frumento duro/girasole con semina diretta (“no-till farming”). È una tecnica che non prevede la lavorazione del terreno – quindi niente aratura, erpicatura, ecc – e comporta diversi vantaggi (oltre al risparmio energetico).
Nell’intervallo fra le due colture principali viene seminata una “coltura di copertura”, che ricopre il terreno. Vengono utilizzate spesso specie di leguminose che, come sappiamo, hanno la capacità di fissare l’azoto atmosferico, cioè di trasformare l’azoto dell’aria in composti incorporati nella pianta, e poi nel terreno, arricchendolo.
La coltura di copertura (nel caso specifico Vicia villosa) ha la funzione di ostacolare la crescita e lo sviluppo delle infestanti: per esempio, come in questo caso, formando una cotica erbosa molto spessa.
Al momento della semina (che, essendo diretta, necessita di macchine particolari, che incidano la superficie del suolo), per evitare che la coltura di copertura competa con la specie seminata, anteriormente alla seminatrice si pone un “roller crimper”, un grosso e pesante rullo che schiaccia le piante della copertura. I risultati sono stati sorprendenti, con vantaggi anche nella produzione.
Uno studio più approfondito delle specie utilizzate per la copertura ha determinato che i risultati migliori si ottengono con delle miscele di specie, variabili a seconda delle condizioni. Tra i suoi vantaggi c’è una maggiore diversità fra le stesse specie di infestanti, che competono maggiormente tra di loro, una diminuzione della loro biomassa (crescono di meno) e addirittura un miglioramento del tasso di fissazione dell’azoto.
In sintesi, in questo modo si forma una piccola comunità vegetale sul terreno, che non solo riesce a contenere le specie indesiderate, ma addirittura migliora le condizioni per le piante coltivate.
La dottoressa Francesca Pisseri, esperta veterinaria e vicepresidente dello Sportello, ha dunque osservato come la coltura di copertura possa costituire un buon pascolo, sostituendo il rullo con del bestiame.
L’intervento di Elter, seppur breve, ha dato una base ancor più concreta alla discussione, toccando quelli che sono i problemi pratici di chi vuole adottare questa via alternativa, sottolineando con vigore che dovrebbe coinvolgere tutta la filiera, dalla produzione al consumo, come auspicato anche dallo stesso Green deal della Ue.
L’agricoltore deve essere cosciente che l’alternativa ai pesticidi non può essere unica, ma è costituita da una serie di accorgimenti, che assumono efficacia se adottati insieme. Queste tecniche richiedono maggior cura da parte del coltivatore, maggior lavoro e maggiori conoscenze.
Elter ha dunque rimarcato energicamente come questa via alternativa possa essere percorsa solo con la collaborazione stretta tra operatori e ricercatori, da un lato, e tra operatori e consumatori dall’altro.
Come l’agricoltore deve assumere la coscienza della qualità del suo prodotto, e quindi agire in questo senso, lo stesso dovrebbe fare il consumatore, educato a valutare il cibo in funzione della sua qualità.
Abbiamo visto i danni prodotti dall’agricoltura industriale e ne stiamo tutti pagando il costo. Una gestione corretta della produzione agricola comporta una serie di vantaggi comuni, che la comunità deve essere disposta a “pagare”, per esempio riconoscendo un prezzo equo ai prodotti di qualità.
«Quando un prodotto ha un prezzo basso – ha concluso Elter – o ci ha rimesso il produttore, o il consumatore, o l’ambiente». O tutti e tre.
di Andrea Costa per greenreport.it