Il Laboratorio di Ecologia della Salute incontra lo Sportello di Agroecologia
di Sergio Boria
tratto da “Ecologia della Salute” N°1 (novembre 2020), la rivista multimediale, semestrale on line, curata dal Laboratorio di Ecologia della Salute dell’AIEMS (Associazione Italiana di Epistemologia e Metodologia Sistemiche) . [numero completo: http://www.aiems.eu/files/ecologia_della_salute_-_n1.pdf]
La mattina del sabato 4 maggio 2019 Giuseppe Conte, Luigi Catzola con la moglie, Serena Dinelli ed io, abbiamo raggiunto il paesino di Montemagno nel Comune di Calci (PI). Ad attenderci c’erano gli amici dello Sportello di Agroecologia, un gruppo interdisciplinare di ricercatori ed attivisti locali nato da un’idea di Francesca Pisseri (e da lei coordinato) e il cui obiettivo è la cura e la rivalutazione del territorio del Monte Pisano. Fanno parte dello Sportello oltre venti persone tra antropologi, agronomi, veterinari, biologi, nonchè cittadini del luogo che fanno un preziosissimo lavoro di tipo organizzativo e molti dei quali hanno una lunga esperienza di militanza in associazioni di vario tipo. C’è anche un tecnico comunale, esperto del territorio, il Sig. Fabio Casella, e il Sig. Sirio Bonanni che è depositario di saperi antichi come ad esempio la tecnica di costruzione dei muretti a secco, indispensabili nell’agricoltura montana per terrazzamenti. Un suo allievo ha vinto un concorso internazionale di questa pratica.
Così, dopo un pranzo con prodotti tipici toscani e un piccolo riposino, ci siamo avviati a piedi verso le ore 16.00 lungo una strada e poi un sentiero che ci hanno permesso di risalire lungo le pendici del Monte Pisano esplorandone il territorio. Avevamo in mente una serie di domande da fare agli amici dello Sportello. Le aveva preparate per noi Anna Cappelletti, antropologa del LES esperta di pratiche autobiografiche, che purtroppo non ha potuto esser dei nostri.
Conversando in modo rilassato ma profondo abbiamo lentamente inanellato i tornanti che dal borgo di Montemagno ci hanno portato fino ai 500-600 metri d’altezza. Davide, Fabio e Francesca ci raccontavano la storia del rapporto trofico e co-evolutivo stabilitosi nel tempo fra la gente del luogo e la montagna (coltivazione dell’olivo e della vite, pascolo di bovini e ovini, raccolta della legna, etc.). Rapporto che si è poi interrotto molti anni fa per un vero e proprio esodo lavorativo dovuto all’apertura in zona di una grande fabbrica del gruppo Piaggio. Noi del LES, intanto, ci guardavamo intorno e quello che vedevamo era il bosco devastato dall’incendio.
Il 24 settembre 2018 infatti un incendio, reso molto aggressivo da un vento che soffiava forte e dalla presenza di moltissimi pini carichi di resina, ha divorato ben 1600 ettari di bosco lasciando dietro di sé la devastazione del territorio e coinvolgendo con le sue fiamme anche qualche abitazione.
Si mischiavano così racconti di un passato pieno di vita produttiva con racconti di paura e distruzione incendiaria, mentre camminando il nostro sguardo vagava fra tronchi carbonizzati e abbandonati sul terreno cotto dal fuoco. Tutto questo, ci spiegava Davide, è accaduto anche perché con l’abbandono dell’allevamento (pascolo semibrado) non ci sono più quelle vaste aree destinate a prato che si interponevano un tempo fra il bosco e il caseggiato, bloccando così in modo naturale la diffusione degli incendi.
Poi ci siamo fermati difronte al muretto costruito dall’esperto Sirio, insieme ai suoi allievi, durante il primo Corso di Muretti a Secco organizzato dallo Sportello di Agroecologia. Tutto intorno piante di olivo abbandonate ed erbacce che soffocano i nuovi timidi germogli. C’era Sirio che raccontava storie del luogo dentro ad un contesto di abbandono e per certi aspetti museale, abitato però da uno straordinario gruppo di resistenza che vede proprio in Sirio una sorta di mentore, di sapiente, nel senso della “persona che conosce veramente” il Monte Pisano nella sua complessità per via della sua esperienza pluridecennale. Sirio conosce il tipo di pietra prevalente nelle varie zone, le pendenze dei diversi versanti, il tipo di terra, gli alberi, sa distinguere la tana del tasso da quella del cinghiale, e ha appreso dove posizionare le canaline di deflusso delle acque e come farle, dove e come realizzare i terrazzamenti, etc. Si tratta di un sapere vivo, che si incarna facendo, e che si aggiorna nella relazione costante e appassionata con l’ambiente.
Un incontro e una scoperta – di Serena Dinelli
Ho deciso di venire nonostante una caviglia infortunata, come farò ora che dovremo camminare per ripide colline? Ma ecco che dal gruppone emerge la figura di Sirio. Robusto, grandi occhi azzurri e mani screpolate dal lavoro, si offre di prendere l’Ape e scarrozzarmi: perfetto! Mentre il gruppo parte a piedi gli salgo accanto e cominciamo a inerpicarci per balze, stradelli, terrazzamenti abbandonati. Presto capisco che ho il privilegio di andare in giro con una persona chiave: dei luoghi che attraversiamo Sirio conosce ogni balza del terreno, ogni pianta locale, la storia e la natura geologica di ogni pietra, palmo a palmo. Sirio ancora non lo sa, ma io da decenni sono una maniaca della conoscenza contestuale e dell’osservazione in loco. Mi piace connettermi interiormente agli antichi esseri umani, che nella nostra preistoria attraverso l’osservazione sistematica condivisa hanno co-costruito una meravigliosa conoscenza: riconoscere e distinguere centinaia di piante e animali, i loro luoghi preferiti, i contesti favorevoli, le alternanze stagionali, virtù e rischi di ogni vivente. Figlio della cultura agricola successiva Sirio sa ancora guardare e vedere, e io lo ammiro profondamente per questo. C’è molto da vedere e da capire. Per esempio, cos’è quella mezza canaletta che scende tra due terrazze abbandonate? Andrebbe ripulita, dice Sirio. Questa costa di monte ha un regime delle acque rischioso. La pendenza è forte, e tanto più adesso si possono creare fiumane che trascinano di tutto a valle. Se si sa guardare si scopre che la comunità contadina aveva creato un complesso di canalizzazioni, inserite ad arte tra gli appezzamenti coltivati, per drenare e orientare le acque pluvie, redistribuendole e in parte convogliandole verso il torrente che scorre rumoroso giù nella forra. Man mano, aiutata da Sirio e conversando con lui, comincio a leggere un sistema complesso creato dal dialogo tra conoscenza umana e andamenti del terreno, assecondandoli e governandoli, sull’intera collina: ogni singolo intervento ha senso per il suo far parte del sistema complessivo, a cui ogni contadino era precisamente sensibile. Quando il giorno dopo ci riuniamo c’è con noi anche Sirio. Qualcuno mi dice che è la prima volta che succede. Forse l’incontro tra la sua sapienza e la mia sincera ammirazione hanno rafforzato un ponte?
Poi Francesca ci ha portato a vedere una serie di meraviglie che sono apparse ai nostri occhi percorrendo un sentiero fra l’erba alta, e infine abbiamo bevuto dell’acqua buonissima che sgorga dalla roccia. Abbiamo fatto in tutto 8 km in tre ore e mezzo, tra salite e discese, e alla fine siamo rientrati a Montemagno.
Poi la sera stessa, dopo aver cenato con una zuppa e con fave e pecorino, il tutto annaffiato da un ottimo Chianti, ci siamo riuniti noi del LES perché era previsto che il giorno dopo gli amici dello Sportello avrebbero ascoltato da noi un’introduzione all’approccio sistemico. Ci siamo scambiati le impressioni, le emozioni e le riflessioni personali sul pomeriggio appena trascorso, così come le narrazioni e le informazioni raccolte durante la camminata. Alla fine abbiamo deciso come declinare, in base alle caratteristiche del contesto, quei concetti che pensavamo di presentare e proporre. Alle ore 23.00 tutti a letto.
Il giorno dopo colazione alle 8.30 in un palazzetto del 700’ con vista sul Monte Pisano e quindi alle 9.30 tutti (noi del LES e gli amici dello Sportello) nella Sala Consiliare di Calci in cui si riunisce il Consiglio Comunale. E’ domenica e Francesca Pisseri è convinta che si presenteranno al massimo 6-7 persone dello Sportello. In realtà la Sala si anima e alla fine si compone un cerchio di circa 30 sedie tutte con qualcuno seduto sopra.
Alle 10.00 prendo la parola per fare una brevissima introduzione raccontando i primi contatti con Francesca risalenti ad un anno e mezzo fa e resi possibili dalla medica veterinaria Carla De Benedictis, componente del LES (oggi sono entrambi Socie AIEMS).
In particolare recupero il ricordo della splendida visita all’Azienda Boccea, di cui Francesca è consulente, dove lei ci spiegò l’approccio agroecologico. Quindi racconto di come l’approccio agroecologico abbia, per noi del LES, un legame stretto con la promozione della salute intesa in senso sistemico, ed esprimo gratitudine per l’accoglienza oggi ricevuta. Spiego che la mattinata si dividerà in due parti con una breve pausa centrale di 10 minuti. Presenteranno prima il proprio intervento Luigi Catzola e Giuseppe Conte, e ai due interventi seguiranno 45 minuti in cui gli amici dello Sportello sono invitati a dire che cosa nelle parole di Luigi e di Giuseppe gli ha risuonato dentro rispetto alla propria esperienza a Calci. Lo stesso accadrà dopo la pausa con gli interventi di Serena Dinelli e mio.
Inizia così Luigi che descrive la differenza fra processi top-down e processi bottom-up. Parla della differenza fra semafori e rotonde, fra eserciti ed alveari, e definisce il concetto sistemico di Emergenza. Quindi introduce con passione i concetti di auto-organizzazione, di omeostasi e di neghentropia, sottolineando la non-direttività e la natura non teleologica dei sistemi viventi.
Segue Giuseppe Conte che racconta di Mau Pialug, navigatore originario della Micronesia in grado di realizzare un viaggio di 2361 miglia in solitaria, senza l’utilizzo di strumenti per orientarsi, e navigando con una canoa tradizionale polinesiana. Giuseppe da questa storia introduce il concetto di co-evoluzione, sottolineando l’importanza dei saperi impliciti ed incarnati e del Kairos in contrasto con il Chronos.
La sapienza di Mau – di Giuseppe Conte
Dall’altra parte del mondo, in pieno oceano Pacifico, ci sono un gruppo di più di cento isole, la Polinesia. Queste isole furono colonizzate molti secoli fa, raggiunte attraverso semplici canoe. Ma un mistero avvolgeva questo lontano passato. Come avevano fatto gli antichi ad attraversare distanze oceaniche enormi, senza l’ausilio di strumenti di navigazione? Sembrava un mistero destinato a non avere una risposta. Ma un uomo, un abitante di una di queste piccole isole sapeva di essere depositario di un sapere unico. Un sapere millenario tramandato di generazione in generazione. Sapeva di essere l’ultimo navigatore astronomico. Per questo motivo accettò di collaborare ad un’impresa considerata impossibile dalla scienza tradizionale: navigare per i 4.200 km che separano le Hawaii dall’isola di Tahiti, senza strumenti di navigazione. Per quell’avventura venne costruita una tipica grande canoa doppia, identica a quelle tradizionali e ne venne affidato il comando a Mau, questo è il nome del navigatore che, a partire dall’alba e fino al tramonto la dirigeva, osservando la posizione del sole di giorno e di notte usando le stelle di cui conosceva il percorso nel cielo. Durante il viaggio Mau si imbatté in un cielo coperto di nubi compatte che oscurarono per giorni sole e stelle. Proprio in queste condizioni estreme divennero evidenti le sue straordinarie capacità. Mau iniziò a navigare ‘leggendo’ i segnali deboli provenienti dall’ambiente. Forma, direzione e velocità delle nubi. Profilo delle onde, rigonfiamenti dell’oceano, lo stile di volo degli uccelli. Forza, direzione, temperatura dei venti e il movimento di banchi di pesci. Una sapienza tramandata da generazioni di navigatori attraverso le danze e i canti del suo popolo. Questo permise a Mau di superare le avversità, mantenere la rotta e condurre la canoa a destinazione. L’eco di quell’impresa suscitò l’orgoglio dei polinesiani guidandoli alla riscoperta della loro cultura, identità e diversità.
La volontà di recuperare la complessità sistemica del territorio con l’approccio bottom up – di Luigi Catzola
Il vedere da lontano il paesino di Montemagno con dietro le alture e il bosco bruciato dall’incendio mi procurò una fitta interiore che mi strinse come una morsa le viscere. Contemporaneamente le voci di Francesca, di Davide e di alcuni dello Sportello di Agroecologia raccontavano come da quel disastro sia scaturita una immediata volontà unanime e popolare, non solo di recuperare il patrimonio in parte perso con l’incendio, ma anche e soprattutto di recuperare i saperi antichi e le arti murarie e contadine sedimentate nel tempo e che avevano permesso l’emergere e il mantenimento, attraverso i secoli, di un complesso ecosistema territorio-popolazione. Questo includeva la montagna, che maestosa dirigeva gli eventi climatici, il territorio fatto di pendenze da armonizzare con le necessità della vegetazione, delle coltivazioni e degli allevamenti, la popolazione che con i suoi saperi abilitava la vita stessa dell’intero ecosistema e l’economia con cui sostenere tale complessità sistemica. Fu così che mi sentii risollevato perché percepii in maniera forte la presenza dei semi della rinascita bottom-up di tale ecosistema. Vidi delle immagini bellissime… quelle persone erano come api che danzavano intorno ai fiori del bosco sincronizzando il loro viaggiare per co-alimentare il loro stesso alveare. Non erano come soldati istruiti dall’alto per servire una volontà decisa da pochi. Fu così che quella notte preparai le mie slide da presentare l’indomani a tutti… parlavano dell’emergere della complessità e del valore portato dal coordinamento bottom up, così come fanno le api che condividono un alveare e non come fanno eserciti che portano volontà stabilite dall’alto per interessi di parte.
Dopo gli interventi di Luigi e Giuseppe prendono la parola per conto dello Sportello Natalie, Francesca, Fabio, Davide ed una pedagogista, Simona Baratti. Natalie dice che “Lo sportello è stato sistemico nel suo modo di rispondere ai problemi” e aggiunge che “c’è stato un momento di grande organizzazione collettiva che si è creata dal basso… lo Sportello risponde con una metodologia sistemica”. Infine Natalie conclude dicendo: “ho scoperto persone come Sirio che aveva tante cose da insegnare… è stata un’esperienza grandiosa nonostante la cosa drammatica dell’incendio”. Natalie si riferisce in particolare all’aiuto che lo Sportello ha dato nel coordinamento di 800 volontari giunti per l’emergenza incendio. Poi Francesca dice: “il discorso del navigatore astronomico Mau mi ha fatto pensare a Sirio… quando lui guarda il monte riesce a fare una sintesi complessa” e aggiunge che le persone dello Sportello ora guardano il Monte Pisano “con altri occhi”. Poi interviene Fabio, antropologo ricercatore, il quale afferma che: “per costruire la conoscenza bisogna andare in giro insieme nel territorio”. Davide sottolinea l’importanza di una cultura sistemica nelle organizzazioni e parla della necessità di meta-regole che favoriscano l’evoluzione dei meccanismi bottom-up. Infine Simona dice che “le risposte efficaci hanno bisogno di tanto tempo” ed esprime la convinzione che i processi di costruzione di una conoscenza condivisa e basata sull’esperienza sono necessariamente lenti.
Dopo la pausa di dieci minuti si riprende con l’amica Serena Dinelli, la quale descrive il muretto a secco come un sistema di relazioni fatto di pietre di forma e dimensione diverse, ed incastrate le une nelle altre con un’arte pratica appresa attraverso le generazioni. Serena utilizza la metafora del muretto per entrare poi nel discorso dell’interdisciplinarità e del sapere complesso che ne deriva, e conclude con una riflessione molto interessante riguardante la cura dei beni comuni come fonte di benessere sociale citando il lavoro e gli studi dell’economista e politologa Elinor Ostrom.
Prendo quindi io la parola descrivendo la dinamica tra differenziazione (generazione di differenze) ed integrazione (generazione di connessioni) che anima i sistemi viventi. Descrivo in particolare l’embriogenesi e l’apprendimento umano come due esempi di questo, rispettivamente nel mondo della biologia e del pensiero, e concludo con una sorta di elogio della diversità (sia biologica che culturale) come garanzia di stabilità e flessibilità e quindi di salute sistemica.
Seguono 45 minuti in cui parlano alcuni componenti dello Sportello: Adele, Francesca, Arianna, Fabio, Luigi, Giuliana, Ottaviano, Debora e Anna.
Adele sottolinea come si sta formando una comunità intorno allo Sportello e Fabio conferma questa idea dicendo: “noi stiamo cercando di accumulare sapere e di imparare a leggere il territorio che ci circonda”.
Arianna, echeggiando quanto detto dall’amica pedagogista, dice che: “stare in relazione non è scontato… Ci vuole tempo per prendersi cura delle relazioni”. Adele dice che il dialogo con il monte lo ha creato e reso possibile proprio l’incendio, momento di crisi ma anche opportunità.
Poi Adele parla di come le sembra che l’amore per la montagna sia più intenso tra i cosiddetti “piovuti” (persone immigrate molti anni fa) che non tra le persone originarie del luogo. Francesca, da parte sua, conferma le riflessioni di Adele sull’incendio come crisi/opportunità e spiega che la comunicazione all’interno del gruppo dello Sportello è curata con grande attenzione. Interviene poi Luigi riflettendo sulla progressiva disconnessione dell’uomo dall’ambiente e chiede: “Dov’è l’origine del male? Esiste un Re del Mondo che ha deciso la direzione verso il male, oppure è insita nell’uomo?”. Dopo aver brevemente esplorato insieme il finalismo cosciente come possibile tossico elemento di disconnessione, la conversazione prende altre direzioni. Ottaviano vuole sottolineare come la sapienza con la “S” maiuscola non vuol dire tenere ferme le tradizioni, ma vuol dire invece sapere come cambiare, sempre però attraverso il dialogo e l’esperienza mantenuti vivi in relazione al contesto d’appartenenza. Fabio conferma, invita inoltre ad andare meno veloci, e suggerisce di favorire una differenziazione del territorio “movimentando il paesaggio”. Giuliana ed Anna concludono l’incontro parlando rispettivamente dell’importanza che ha l’accoglienza offerta allo Sportello negli spazi del Comune (riferendosi alla mattinata in corso) e del contrasto che c’è tra cura del territorio ed uso dello stesso a scopo di profitto. Debora infine mette il suo sigillo alla mattinata definendo lo Sportello come una pratica di “resistenza creativa”.
Infine la riunione si è conclusa con dei saluti carichi di emozioni positive, le quali hanno trovato espressione in abbracci fraterni e in un sentimento condiviso di benessere e di forte complicità d’intenti.
Tornando poi a Roma in automobile, le conversazioni tra Giuseppe, Luigi, Serena, e me, sono state ricche, generative di progettualità, e chiaramente influenzate dalle tante intuizioni e consapevolezze che erano emerse in noi durante l’incontro con gli amici dello Sportello.
Per quello che mi riguarda, nei mesi successivi si è fatta spazio dentro di me l’idea che quello che più mi aveva coinvolto e convinto nel progetto dello Sportello di Agroecologia di Calci era stata l’attivazione di potenti processi di riconnessione, nonché le ricadute di tutto ciò in termini ecologici e sociali.
Riconnessione dell’Uomo al proprio Ambiente d’appartenenza (Monte Pisano) attraverso un’azione partecipata dal basso di riqualificazione del territorio e orientata verso un recupero consapevole di due pratiche tradizionali del luogo: l’allevamento e l’agricoltura.
Riconnessione tra le generazioni attraverso il lavoro d’integrazione tra i saperi impliciti tradizionali (la conoscenza incarnata del Monte Pisano e l’arte del muretto a secco, messi a disposizione da Sirio) ed i saperi e le tecnologie moderni.
Riconnessione, infine, tra diverse dimensione culturali che si incontrano ed entrano in dialogo nel contesto del Corso con cui Sirio insegna a costruire muretti a secco. Corso al quale si sono iscritti sia italiani che persone di altre nazionalità, compreso qualche ragazzo africano.